Cristina Pusceddu: da Londra a Sinnai

Abbiamo intervistato una donna che non è nata a Sinnai, non è cresciuta a Sinnai, ma essendo i propri genitori di Sinnai, dopo diversi spostamenti tra Roma, Londra e l’India, ha deciso di vivere nel nostro paese.

La prima domanda viene spontanea: fill’e chini sesi?

Sono figlia di Piero Pusceddu e di Dolores Broi. Mio padre durante la seconda guerra mondiale rimase invalido, e incominciò a lavorare a Roma, presso il ministero della Difesa. Mia madre era figlia dell’ex sindaco Eugenio Broi e partì a vivere Roma con mio padre. Io sono nata nella capitale quindi, ma ho ricevuto dai miei una costante lezione di sardità: tra di loro parlavano in sardo, e mi hanno raccontato tantissime storie di Sinnai, ho ricevuto iniezioni di sardità fin da bambina. Poi ho incominciato a conoscere il mio paese: i miei genitori venivano in vacanza qua e io mi divertivo tantissimo con i parenti, gli zii, i cugini. Durante l’adolescenza invece non mi piaceva venire a Sinnai: in confronto a Roma era piccola, non avevo tanti amici e essendo figlia di persone molto conosciute ero costantemente controllata.

Quando hai deciso di trasferirti a Londra?

Mi ero stufata del lavoro d’ufficio: incominciai pure io a lavorare al ministero della Difesa, ma non era un lavoro che faceva per me. In quel periodo studiavo lingue, per cui decisi di svoltare: partii a Londra per finire la tesi. Una volta giunta a Londra ho incominciato a lavorare; all’inizio come cameriera e traduttrice, poi come mediatrice culturale e insegnante. Ho fatto questo lavoro per 15 anni consecutivi fino a che non mi sono ritrovata stanca, come se non avessi più niente da dare agli altri. Non avevo più le energie degli inizi e mi stavo rendendo conto che stavo arrivando ad un altro passaggio importante della mia vita.

Sapevi già cosa dovevi fare?

No, continuavo a lavorare con sempre meno energia, anche perché l’aggravarsi delle condizioni di salute di mio padre e mia madre mi portava a viaggiare continuamente tra Londra e Roma.  La loro morte determinò la decisione di lasciare Londra.

E ti trasferisci a Sinnai…

No, non avevo ancora deciso di vivere a Sinnai, probabilmente non ci avevo ancora pensato. Decisi di andare in India e ci rimasi per 6 mesi: imparai Yoga e mi presi il diploma di istruttrice. Ma soprattutto capii cosa voleva dire la povertà: mi accorsi di quanto ero ricca in confronto al mondo nel quale viviamo. Solo dopo il viaggio in India incominciai a pensare alle mie radici; dovunque sono andata non ero mai a casa: a Roma non ero di casa perché il mio cognome tradiva le mie origini, a Londra non ero a casa perchè ero inevitabilmente italiana. Decisi quindi di tornare a casa mia, una casa dove non ero né nata né cresciuta ma alla quale appartenevo, grazie a mio padre e a mia madre. Arrivai a Sinnai nel 2004, il giorno del compleanno di mio padre.

Quando e perché hai deciso di iniziare l’attività con l’associazione Scirarindi?

Quando sono arrivata a Sinnai mi sono davvero resa conto di essere tornata a casa. Ero colma di gratitudine nei confronti dei miei genitori che mi avevano instillato questo amore verso la mia terra. Però non conoscevo nessuno, non avevo contatti, non sapevo a chi rivolgermi per le mie esigenze. Con una cara amica, Giovannella Dall’Ara, ferrarese incontrata in Puglia, avevamo le stesse esigenze: reperire informazioni, diffonderle e renderle alla portata di tutti, creare un collegamento tra chi richiede informazioni e chi le ha. Da quest’incontro nasce l’associazione Scirarindi e il portale web www.scirarindi.org, creati nel 2008.

Come mai la scelta di questo nome, un verbo declinato all’imperativo, un modo di dire che tutti abbiamo sentito?

Un pregio di aver vissuto per tanti anni in due capitali, a Roma e a Londra, consiste in un’apertura mentale che ti permette di valutare ciò che hai di fronte e le sue potenzialità. E le potenzialità che ha Sinnai e in generale la Sardegna sono tantissime. Ma altrettante sono le chiusure mentali che ci bloccano. Mi sono trovata davanti e tuttora noto un senso di inferiorità con la quale interpretiamo il mondo: tanti si lamentano di tante cose ma non vedo sforzi per superare situazioni difficili. Noto una forte autocommiserazione con la quale spesso ci autoassolviamo dal non far niente per migliorarci. Io invece credo che abbiamo le possibilità per superare ogni momento di crisi cercando di fare e credendo in quel che facciamo, mettendoci passione e amore.

Una volta creata l’associazione quali sono stati i passi successivi?

Una volta creata l’associazione (e incominciata la prima esperienza della burocrazia italiana) ho incominciato a contattare tutti coloro con i quali volevamo fare rete:  operatori nel campo della buona alimentazione, dell’ambiente, dell’ecologia e dell’agricoltura biologica, della salute e del benessere, e naturalmente della vita interiore. Abbiamo incominciato a incontrarci e a parlare. Il sito, con l’adesione di tanti operatori, era diventato ciò che volevamo: un punto di contatto tra persone e operatori, una fonte di informazioni.  Non nego che inizialmente abbiamo avuto qualche difficoltà, soprattutto legata all’invidia. Quando arrivai a Sinnai molti mi dissero che mi sarei dovuta scontrare con questo sentimento negativo, ma non ci credevo. Una volta che ho incominciato a fare mi son resa conto di quanto questo sentimento sia diffuso. Ma si è continuato senza dar peso a queste piccole cose.

E come è continuata l’attività dell’associazione Scirarindi?

Dopo che abbiamo creato e seguito il sito internet abbiamo pensato di far incontrare fisicamente gli operatori e i visitatori, senza i filtri di internet.
Il primo festival è nato nel 2011 e si è svolto al molo Ichnusa del porto di Cagliari. Dopo innumerevoli vicissitudini burocratiche con l’autorità portuale siamo riusciti a portare 150 espositori. E’ stata l’organizzazione più difficile e problematica, ma forse la migliore edizione del festival. Nel 2012 abbiamo cambiato luogo e il secondo festival si è svolto negli spazi della Fiera: 2 padiglioni, 200 espositori, 5500 visitatori paganti. Il 2013 finora è stato l’anno più impegnativo e con i risultati maggiori: il terzo festival scirarindi, sempre alla fiera di Cagliari ha visto 3 padiglioni, 250 espositori e oltre 8000 visitatori. A giugno siamo andati a Sassari, col festival Si Può Fare.

Quali sono i programmi per il futuro?

Di sicuro ho intenzione di avere dei criteri di selezione degli operatori molto più stringente, puntando alla qualità piuttosto che alla quantità. Siamo in continuo work in progress, per cui non so cosa farò domani. Stiamo riorganizzando il sito, migliorando l’amministrazione dell’associazione e del festival, cambiando criteri di selezione. Per ora però l’unico punto fermo rimane casa mia.

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