Su segarapetza sinniesu: Il Carnevale sinnaese. L’antico carnevale sinnaese descritto da don Giovanni Cadeddu. Traduzione dalla lingua sarda di Luisa Besalduch. Tratto da QuestaSinnai, febbraio 1990

A Sinnai e in molti paesi della parte meridionale della Sardegna, il Carnevale, termine derivato dal latino “Carnem levare”, anticamente veniva chiamato in lingua campidanese :” Segarepetza”, e ancora oggi, in tutta la parte settentrionale della sardegna, si chiama :”Su Carresegare”; comprende il tempo che passa tra l’Epifania e il mercoledi’ delle Ceneri.
Il giovedi’ che precede gli ultimi giorni del carnevale si chiama “sa giobia de lardajolu o de trallai ollu” cioe’ il giovedì grasso; gli ultimi tre giorni che precedono il mercoledì delle ceneri vengono chiamati, “dominigu, lunis e martis de agoa”,la prima domenica di quaresima veniva chiamata “Su dominigu de is trojas, troienzia, cioè, caddozzimini, cioe’ sporcizia, sudiciume.

Le fritture, le pietanze 
Il Carnevale era una delle belle settimane dell’anno nella quale i sinnaesi festeggiavano con grande solennità e con preparativi febbrili.  In ogni famiglia, per quanto povera fosse, non dovevano mancare le famose “tzipulas”, parola che deriva da zipola –e, latino del Medioevo. Altre fritture tipiche erano: “Is arrubiolus”, “is canneddus prenus”, “Is simbulinus” e la cosiddetta “frittura fini” che si riferisce a “Is culixioneddus a matza e’ mindula” (raviolini fritti ripieni di mandorle aromatizzate) e “is culixioneddus de sanguini e’ porcu”, (sempre raviolini fritti ripieni con l’impasto del sanguinaccio dolce) e ancora raviolini “de arrescottu” (di ricotta sempre aromatizzati con cannella, acqua fior d’arancio, buccia di agrumi gratuggiata ecc.); quest’ultima qualità di frittura era in uso presso le case delle famiglie benestanti.
I pastori, per questa settimana speciale, si prodigavano preparando “Is casus cottus” , piccole formine di formaggio cotto a foggia di animaletti (piccioncini, porcellini,ecc.), e le forme di formaggio fresco per regalarle agli amici, e alle fidanzate, anche perché questo formaggio serviva per fare le fritture, e per metterlo tagliato a dadini nel brodo.

Le pietanze che venivano preparate in questo periodo erano le seguenti: i ravioli di formaggio o di ricotta, “sa cassola” bianca (capretto o agnello in tegame con salsa d’uovo e limone oppure semplicemente in umido), il porchetto, l’agnello o il capretto da fare arrosto. Il vino preferito era quello rosso, da bere invece con le tzipulas era molto apprezzata la malvasia.

I cortei, i balli, le maschere
Questa ricorrenza, era attesa da grandi e piccoli perché serviva a riposarsi dalle fatiche dei campi e dal lavoro fatto per accudire il bestiame allora molto numeroso. Era un divertimento che dispensava a tutti sollievo e piacere e che consentiva di ritornare al lavoro rinvigoriti pieni di buoni propositi.
I balli, le maschere, gli scherzi, le risate, i canti e i suoni, erano i divertimenti che più deliziavano la gente e tutto serviva a contagiare l’allegria sia tra i vecchi che fra i giovani.

I cortei in maschera erano molto importanti e infondevano ulteriore fervore alla festa. Iniziavano il giovedì grasso “Sa giobia de lardajolu” con i gruppi di maschere e con i preparativi per le fritture e per i pranzi che si sarebbero tenuti nei giorni successivi. Bisognava pensare a mettere da parte l’olio per friggere, sciogliere la sugna del maiale, si preparava “ s’ollu ermanu”  fino a fargli raggiungere la giusta temperatura, si preparava il formaggio fresco, la farina di grano, la buccia dell’arancia grattugiata , il latte, le patate, lo zafferano. I pastori pensavano agli agnelli, ai capretti e ai maialetti per fare bella figura con le persone che non potevano scontentare.
Gli scapoli, cosi come gli uomini sposati, dovevano pensare a organizzare i divertimenti, alle maschere e ai veglioni nelle piazze autorizzate, assicurarsi della partecipazione del suonatore di “launeddas” o di “sonettu” oppure di chitarra. Ciascuno aveva un’incombenza da portare a termine.

I Cortei mascherati molto solenni avevano luogo “Su dominigu de agoa”, che venivano preparati dai giovani settimane prima del Carnevale, questi cortei passavano per i vari vicinati del paese, improvvisando canti, balli e scene scherzose con finti matrimoni e altre rappresentazioni burlesche. Nel primo pomeriggio, in certi anni, si teneva la seconda corsa delle maschere a cavallo (in tempi più antichi la prima corsa si teneva il giovedì grasso (sa giobia de ladrai o trallajollu) la terza, martedì grasso (su martis de agoa); queste corse venivano organizzate con grande premura perché attiravano molta gente anche da altri paesi e da Cagliari.
In tarda serata, al tramonto del sole, iniziavano i veglioni nelle piazza designate, dove i giovani “sa tzeracchia” si radunava con le fidanzate e i parenti giovani.

Is Cerbus 
Il lunedì “su lunis de agoa”, seguitavano a divertirsi con le maschere e i balli e specialmente con la famosa corsa de “Is cerbus” , la corsa dei cervi, che consisteva in una finta caccia, (Su Matoni), con cacciatori finti, cani finti, e finti cinghiali. Anche questa manifestazione faceva arrivare al nostro paese molti forestieri. Ogni notte, per tre giorni, fino all’una di notte e anche più tardi, seguivano i grandi veglioni di Carnevale. Il martedì grasso “su martis de agoa”, finivano i divertimenti pubblici; la mattina all’uscita della messa “Sa missa Manna”, non mancava il famosissimo e solenne ballo “su ballu de s’imbarcazioni”, che si soleva fare di fronte alla porta principale della Chiesa, come si usava fare tutte le domeniche, lontano dalla Quaresima per “Su ballu de Sa missa manna”.

Carnovali mortu 
Dopo pranzo la gente si radunava negli incroci delle strade per vedere le corse delle maschere a cavallo che iniziavano a correre molto presto, anche perché sul tardi, prima dell’imbrunire, doveva uscire il corteo mascherato de “Carnovali mortu”. Questo tipo di maschera ha un’origine molto antica, e come in altre parti della Sardegna e fuori nel Continente, come pure in certe parti d’Europa, si usava fare una specie di fantoccio fatto di stracci e paglia che faceva le veci del Carnevale. Questo fantoccio doveva essere condannato a morte per mezzo dell’impiccagione, decapitazione, oppure messo al rogo. Subito dopo veniva letto il testamento di Carnevale. La maschera con il testamento ha origini antichissime, infatti nel quarto e nel quinto secolo, San Gerolamo parla di questo genere di rappresentazioni che venivano fatte ai suoi tempi, con il famoso “testamentus porcelli” e il testamentu domini Asini” (342 -420).
A Sinnai, qualche volta veniva letto il testamento di “Cuncu Cranovali Burricu”, che più o meno recitava cosi: “ Deu, Cranovali Burricu” Io, Carnevale asino, nel pieno senso delle mie facoltà mentali, dispongo dei miei beni nel modo che segue: lascio le mie orecchie ai sordi, gli occhi ai cechi, i denti agli sdentati, i miei arnesi di ferro ai fabbri, la lingua a mia suocera, la voce al banditore, “su gridadori”, la mia pelle ai ciabattini, il pelo ai sellai, la coda con le ossa ai macellai, le viscere “sa frisciura” al sindaco e i fichi secchi ai consiglieri. Questa manifestazione, senza dubbi, non è altro che il seguito delle antiche feste dei latini, le famose “Saturnalias”, che nei popoli neolatini hanno assunto anche il significato di feste come riti di purificazione, esattamente come si esprimevano i popoli primitivi.
Ancora oggi a Sinnai si ricorda un fatto avvenuto più di cento anni fa in una casa di Via Soleminis. Per questioni amorose, era stato accoltellato un tizio che aveva per sopranome “Grisu”, il quale mori’ quasi all’istante a causa della ferita riportata; un artigiano sinnaese era stato condannato a venti anni di carcere. Questo fatto avvenne mentre si stava svolgendo una mascherata per il carnevale. In quell’anno, il grande divertimento, la gioia e il riso, si tramutarono all’improvviso in pianto, in tristezza e in lutto, e molte famiglie sinnaesi piansero per tanti anni quella triste sventura.

La pentolaccia 
Il carnevale nel nostro paese finiva alla mezzanotte in punto, quando la campana grande della Chiesa di Santa Barbara suonava centouno rintocchi per annunciare la fine della Quaresima; Ma quasi sempre i cortei in maschera si ripetevano anche la domenica successiva con “Su dominigu de is trojas” (l’odierna pentolaccia), durante la quale venivano rotte le pentole: questo divertimento pero’ si svolgeva in privato, nelle piazze dove solitamente si radunavano i ragazzi. Il Carnevale era certamente una settimana di grande divertimento e di sana allegria e serviva a far divertire la gente, ad avere più disponibilità verso il prossimo, a creare più cordialità tra i vecchi e i giovani, ad avere più rispetto gli uni con gli altri, a comprendersi di più. Questa circostanza era dunque un gioco, una rappresentazione che doveva servire unicamente a divertirsi, ad escludere l’offesa. Al di la del triste evento accaduto più di cento anni fa, a Sinnai non si ricorda nessun altro fatto che abbia portato tanta amarezza e lutto alla festa del carnevale; era un festa che finiva con l’inizio della Santa Quaresima.

Oggigiorno, certe persone molto frivole e con poco discernimento, vorrebbero fare di tutta la loro vita un Carnevale, dal momento che anche le cose più serie e più sacre le considerano un vero Carnevale.

Foto per gentile concessione di Marcello Olla

marcello olla

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